Non proprio la solita recensione.
Ogni qualvolta
Quentin Tarantino annuncia un suo nuovo progetto io entro in uno stato di trepidante attesa. Quando ho saputo di
Django Unchained però, mi sono trovata un po' spiazzata, perché nonostante io abbia sempre avuto un occhio di riguardo per il cinema di serie B, quello nostrano ovviamente incluso, lo
Spaghetti Western non fa per me. I film di
Sergio Leone sono dei capolavori e non ci piove, ma a
C'era una volta il West io ho sempre preferito
C'era una volta in America, tanto per capirci insomma.
E di
Corbucci ho avuto modo di vedere più che altro le commedie che ho più o meno apprezzato a seconda del caso. Sapevo che costui fosse il "papà" di
Django, ma non ho mai visto il film con
Franco Nero, tantomeno ho prestato attenzione alla prole illegittima che quest'ultimo ha generato. All'epoca infatti il film
Django deve essere stato un vero è proprio fenomeno e molti registi hanno cercato di cavalcare l'onda del successo ottenuto da questo personaggio portato sullo schermo per la prima volta da
Sergio Corbucci, o meglio di approfittarsene. Spero venga apprezzata la mia onestà.
In occasione dell'uscita nelle sale del film di
Tarantino avrei potuto rimediare e fare ammenda dei miei peccati, sorbendomi le numerose maratone tv che i palinsesti hanno dedicato in modo molto paraculo al nostro eroe, trasmettendo tutti i film che hanno il nome
Django nel titolo, per poi tirarmela vantando chissà quale conoscenza pregressa degli antenati storici della nuova creatura di
Tarantino. Ma non è il mio stile... anche se pare che sia quello di molti altri, buon per loro. O forse no.
I buon vecchio - e oramai anche panciuto -
Quentin non ha mai fatto mistero del suo amore per i B movies, e per quelli Italiani in particolare, da cui spesso è stato ispirato o che ha voluto omaggiare e ricordare all'interno delle sue opere. Era praticamente inevitabile che prima o poi si cimentasse con lo
Spaghetti Western. Eppure io non mi sentivo pronta, avevo paura che non sarei riuscita a farmelo piacere, e questo sottointende chiaramente l'aver dato quasi per scontato da parte mia che
Django Unchained non sarebbe riuscito a conquistarmi in maniera spontanea ed immediata. Anche io ho i miei pregiudizi e purtroppo oltre a quelli ho anche parecchi limiti. Ma ne almeno ne sono ben cosciente .
Poi mi sono ricordata di un altro
Django già in mio possesso e che volevo vedere in tempi ancora non sospetti, ovvero
Sukiyaki Western Django di
Miike Takashi, regista giapponese che adoro da sempre.
Quindi prima di cimentarmi nella visione di quello "unchained", mi sono dedicata al suo cugino un po' più grande e con gli occhi a mandorla, nella speranza che questo, entusiasmandomi come fanno sempre i film di
Miike, mi rendesse più ben disposta nei confronti del film di
Tarantino. E avevo ragione.
Sukiyaki Western Django è il personalissimo omaggio di
Miike al genere dello
Spaghetti Western, il
sukiyaki del titolo è infatti un piatto tipico della cucina nipponica, che qui prende quindi il posto della nostra amatissima pastasciutta. Come suo solito il regista saccheggia e stravolge i canoni dei generi cinematografici per regalarci un film originalissimo e unico.
La storia è quella di un villaggio, dove si narra che sia nascosto un tesoro di natura ed entità sconosciuta, che viene sconvolto dall'arrivo di due bande di malviventi che vogliono scovarlo, nonché assumere il potere. L'arrivo di un pistolero formidabile e misterioso, disposto a mettersi al soldo del miglior offerente, inasprisce ulteriormente la rivalità tra i Rossi e i Bianchi, portando ad un'inaspettato finale che coinvolgerà i pochi abitanti che hanno resistito all'assedio e non solo.
Un piccolo ruolo nel film ce l'ha anche Quentin Tarantino stesso, che ha deciso di partecipare giocosamente al film che il suo collega, nonché amico, Takashi aveva deciso di dedicare al western all' italiana - più che a Django in sé per sé - di cui entrambi si sono evidentemente infatuati.
I saloon sono sostituiti da costruzioni con il tetto a pagoda, dove le stanze hanno i tatami e sono separate da porte di riso. Ci sono gli inseguimenti a cavallo e gli speroni, ma si uccide a colpi di katana oltre che di pistola. Il selvaggio oriente si tinge dei colori della tradizione del sol levante, per un risultato esuberante, dove trova ampio spazio anche la letteratura Shakesperiana con la sua guerra delle rosa (tratta da
Riccardo III) da cui il film trae gran parte della sua simbologia metaforica. E qui il rosso e il bianco delle due fazioni in lotta daranno vita a numerose sfumature di malvagità, strizzando spesso un occhio al grottesco.
La figura del pistolero solitario, lo straniero che arriva al villaggio per fare da giustiziere, e che di solito ha il ruolo da protagonista nei western classici, qui è una figura un po' assente e qui serve più che altro a fare da innesco per tutta una serie di scoppiettanti personaggi che hanno più spessore e sono decisamente più rilevanti ai fini della storia.
Ogni qualvolta
Miike si confronta con un genere diverso, non lo possiede prepotentemente, annientandone l'essenza, ma al contrario intreccia con esso una relazione di profondo amore e rispetto con cui lo esalta, senza però rinunciare al suo stile personale.
Come avrete capito
Sukiyaki Western Django mi è garbato assai, così bella carica, anzi caricata a molla tipo jack-in-the-box perché l'immagine della pupazza/pagliaccia trovo mi si addica molto, mi sono concessa finalmente la visione del tanto chiacchierato
Django Unchained di
Tarantino.
Come ben saprete, non amo scrivere le trame, oltretutto trattandosi di un film recente e probabilmente ancora in sala, non voglio rischiare di ammollarvi qualche spoiler. Perciò vi beccherete la sinossi ufficiale da cartella stampa, anche se secondo me o è stata scritta da qualcuno sotto acido oppure (e questo è più probabile) è stata tradotta in italiano da un lupo mannaro mentre si stava facendo la ceretta. Non ci sono altre spiegazioni.
Ambientato nel Sud due anni prima della Guerra Civile, Django Unchained, con il Premio Oscar Jamie Foxx nel ruolo di Django, uno schiavo la cui brutale storia col suo ex padrone lo pone faccia a faccia con il cacciatore di taglie di origine tedesca Dr. King Schultz (il Premio Oscar Christoph Waltz).
Schultz è sulle tracce di alcuni assassini, i fratelli Brittle, e solo Django lo può aiutare in questa impresa per riscuotere la relativa taglia. Il non proprio ortodosso Schultz acquista Django con la promessa di liberarlo dopo la cattura dei fratelli, vivi o morti. A missione compiuta Schultz dovrebbe liberare Django, ma i due scelgono di non imboccare strade differenti: Schultz va alla ricerca del criminale più braccato del Sud con Django
al suo fianco. Mentre affina le proprie abilità di cacciatore, il
protagonista resta concentrato sul suo unico reale obiettivo: ritrovare e
salvare Broomhilda (Kerry Washington), la moglie persa durante il commercio illegale degli schiavi tempo addietro.
Questa ricerca porta infine Django e Schultz sino a Calvin Candie (il candidato all'Oscar Leonardo DiCaprio), il proprietario di Candyland, un'ignobile piantagione in cui gli schiavi sono allenati da Ace Woody (Kurt Russell) che li fa combattere l'uno contro l'altro per sport. Infiltrandosi sotto falsa copertura, Django e Schultz destano i sospetti di Stephen (il candidato all'Oscar Samuel L. Jackson), schiavo e domestico fidato di Candie. Vengono scoperti e la perfida organizzazione si stringe come una morsa su di loro. Se Django e Schultz vorranno riuscire a scappare con Broomhilda, si troveranno costretti a scegliere tra l'indipendenza e la solidarietà, tra il sacrificio e la sopravvivenza ...

Io ho ovviamente optato per una versione in lingua originale. La sola idea di sentire
DiCaprio doppiato con la voce da eterno Peter Pan che continuano ad affibbiargli in Italia mi faceva star male, ma a parte questo, la v.o. è sempre l'opzione che preferisco.
Come già era accaduto per il predecessore
Inglorious Basterds, ci troviamo di fronte ad un film che ci racconta la liberazione degli oppressi, la loro rivolta contro gli oppressori, ma soprattutto la loro vendetta, in stile rigorosamente pulp e, perché no, anche un po' teatrale.
Si tratta di un film con la sua buona dose di violenza (c'era bisogno di dirlo?) che
Tarantino ha plasmato prendendo spunto non solo dal famigerato
Spaghetti Western di
Sergio Corbucci, ma anche da un altro film di genere, ovvero
Mandingo, che parla di incontri di lotta mortali tra schiavi di colore.
A molti non è piaciuto, a me sì, e posso addirittura dire che ho particolarmente apprezzato uno degli aspetti del film che è stato più denigrato dai suoi detrattori, cioè la sceneggiatura.
Io l'ho trovata molto intelligente, perché riesce a sfruttare in modo ideale i vari clichè del genere che qui viene rivisitato, e lo fa a vantaggio di una storia che resta comunque originale e interessante.
Ma probabilmente, a dar fastidio, non è stata tanto la sceneggiatura in sé per sé, ma la durata del film, che è di due ore e quaranta minuti, a cui la sceneggiatura contribuisce con la dimostrazione di un certo compiacimento da parte del regista, che secondo ci può tranquillamente aspettare da un personaggio come
Quentin Tarantino. Sicuramente qualcosa si poteva eliminare, ma a quel punto la
salsa tarantiniana con cui tutti gli elementi, vecchi e nuovi, della storia sono tenuti insieme e che caratterizza tutta la pellicola attraverso soluzioni visive, scelte di fotografia e montaggio e quant'altro, sarebbe diventata più debole e di sicuro meno gustosa. Non ci scordiamo del resto che il diavolo sta nei dettagli.
Molto interessante anche lo score musicale del film, in cui è presente anche un pezzo scritto appositamente per
Django Unchained da nientepopòdimenochè
Ennio Morricone e cantato dalla bravissima
Elisa. Una decisa nota di italianità insomma.
Ma la cosa che mi è piaciuta maggiormente è la caratterizzazione dei vari personaggi, sempre spinta al limite massimo per creare un effetto un po' grottesco, ma comunque perfettamente funzionale. Ovviamente da questo punto di vista il cast contribuisce in maniera imponente. E quando dico cast, in questa caso, intendo una sfilza di grandi attori, in primis
Christoph Waltz - che io adoro -
e a seguire il già citato
Leo,
Jamie Foxx e
Samuel L. Jackson, che da bravo attore feticcio qui ha un ruolo inaspettato che è quasi una macchietta. Ma la lista sarebbe ovviamente molto più lunga, soprattutto grazie a degli spassosissimi cammei.
Secondo me alcune delle critiche mosse sono immeritate. Si tratta di un bel film, a volte non proprio agile e snello, ma abbastanza carico di tensione e azione, con piccoli sprazzi di un macabro retrogusto comico, che da vita ad un affresco singolare del senso di rivincita. La storia riesce a mantenere un suo tipo di dinamismo, anche se nella parte centrale della narrazione, più che procedere significativamente, ci si gongola un pochino.
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